Lo studio

Perché Covid-19 in alcune zone del mondo e in altre no? Inquinamento e temperature gli indiziati

Ll'università del Maryland ipotizza diversi fattori come umidità, latitudine e livelli di inquinamento.

Perché Covid-19 in alcune zone del mondo e in altre no? Inquinamento e temperature gli indiziati
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Gli scienziati di tutto il mondo stanno cercando di rispondere ad un quesito di capitale importanza: perché il Covid-19 si è diffuso massivamente in determinate aree geografiche rispetto ad altre? Specificando subito che ci troviamo ancora nel campo delle ipotesi - ovviamente corroborate da dati - i ricercatori stanno cercando correlazioni tra condizioni climatiche, nonchè di conformazione dei territori, nei luoghi travolti dall’epidemia.

I focolai e le condizioni ambientali

La megalopoli cinese di Wuhan, la Lombardia, il Veneto, la zona di Qom in Iran, Tokyo, Seattle, Londra, Parigi sono fra i principali focolai dell'epidemia e presenterebbero delle analogie allo studio degli scienziati, che consentono di collegare fra loro le aree più interessate da un virus che colpisce le vie respiratorie: latitudine, temperature, umidità e livelli di inquinamento.

Latitudine, temperature e qualità dell'aria

Un gruppo di ricercatori dell'università del Maryland hanno prodotto una studio - ancora in fase di revisione - conducendo indagini sulle aree geografiche soggette al virus. Si evince che, nelle scorse settimane, si siano verificate simili condizioni climatiche in termini di temperature. Se si confronta il periodo gennaio-febbraio, quando l'epidemia si è diffusa in Cina, e il periodo febbraio-marzo, che ha visto l'aumento dei contagi in altri Paesi, si nota che le temperature medie registrate sono state simili. In località più fredde, emblematico il caso della Russia, il Covid-19 non si è sviluppato in modo diffuso. Ma anche le temperature troppo elevate potrebbero "bloccare" il virus, in tal senso si è guardato alla Thailandia, che conta solamente 53 casi.

Per questo l'elemento latitudine è altamente preso in considerazione nello studio: tutte le località più colpite dal coronavirus si trovano nella fascia compresa tra 30 e 50 gradi a Nord. Non manca un focus sulla qualità dell'aria legata alla diffusione del Covid-19. Tutte le zone focolaio hanno infatti valori di smog e polveri importanti.

Aria inquinata in Lombardia

La qualità dell'aria lombarda è pessima, basti pensare ai tristi record della Pianura Padana in tal senso. Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l'aria, associazione che da anni si batte per migliorare il piano sulla qualità dell'aria della Regione Lombardia, ha ribadito che per oltre due mesi, dall'inizio di dicembre alla prima settimana di febbraio 2020, le concentrazioni di polveri sottili e biossido di azoto, in Lombardia, sono state pressoché costantemente ben oltre i limiti di legge. Impossibile escludere che questi fattori non possano aver inciso sulla diffusione così come sulla gravità della malattia. Così come, per esempio, è stato ampiamente spiegato che essere fumatori potrebbe peggiorare il quadro clinico.

Anni fa una ricerca condotta a Pechino ha rilevato che molti microrganismi – virus compresi – si diffondono nell'aria assieme alle particelle di smog.  Inoltre sono numerosi gli studi che dimostrano che chi vive in aree inquinate è più suscettibile alle infezioni respiratorie e che lo smog ne aggravi i sintomi.

Il precedente con la Sars

Come sappiamo la Sars è parente stretta del Covid-19. Gli studi dell’Università della California avevano mostrato che la Sars, scoppiata in Cina nel 2003, si era rivelata più nociva e mortale nelle regioni con una qualità dell’aria peggiore.

Al momento è bene mantenere comunque la cautela e attendere la validazione definitiva relativa al lavoro degli scienziati dell'università del Maryland in relazione al Covid-19. Siamo ancora in fase di studio, sebbene gli elementi in campo siano corroborati da dati e precedenti significativi.

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