Quando a Montebelluna si allevava il baco da seta
La gelsibachicoltura potrebbe tornare in auge se rivolta alla cosmesi e alla farmaceutica.
Quando a Montebelluna si allevava il baco da seta. Fino agli anni Sessanta l’allevamento dei bachi da seta era coltura molto diffusa in Italia. A Montebelluna in modo particolare. Ogni agricoltore allevava bachi da seta, erano i primi soldi che entravano in casa, tra maggio e giugno. Si andava a comprare i bachi appena nati (venduti a once) al Consorzio Agrario, presso gli Istituti Agrari accanto al Municipio. Dopo circa 40 giorni si portavano, sempre al consorzio i bozzoli «crudi» per poi essere essiccati.
La gelsibachicoltura (così definita in quanto il baco si nutre di gelsi) oggi potrebbe rifiorire. Ce ne parla il presidente dell’associazione italiana gelsibachicoltori (Aig), l'agronomo Fernando Pellizzari, montebellunese Doc. Dal 1948 esisteva l’Associazione nazionale bachicoltori (Anb), Pellizzari ne fu presidente dal 2003. Poi, una direttiva europea del 2008, ha imposto a tutti gli stati membri di chiudere le associazioni, perché erano cambiate alcune linee guide, in particolare prevedeva un minimo di 500 bachicoltori iscritti: «Quindi la nostra gloriosa Anb fu chiusa nel 2011 - ricorda Pellizzari -, a causa delle nuove regole europee, io sono stato l’ultimo presidente. Nel febbraio del 2016 è stata fondata l’Aig».
Quando a Montebelluna si allevava il baco da seta
Cos’era filiera della setta fino a metà degli anni Settanta?
I produttori portavano i bozzoli in filanda, lì si produceva il filato che andava alle industrie tessili. Avevamo due eccellenze, una ad Avellino e una nel Comasco. Si producevano tessuti di seta di altissima qualità che venivano venduti alle grandi case di moda come Vuitton, Hermes o Gucci, per realizzare i magnifici foulard o cravatte che conosciamo.
Perché la bachicoltura è poi scomparsa?
L’ultima filanda è stata chiusa nel 1978. La Cina anche oggi comanda il 90% del mercato mondiale di produzione del filato, regola dunque i prezzi commerciali. Questo ha fatto in modo che le nostre industrie comasche avessero convenienza a comprare filato cinese, e le nostre filande sono state destinate alla chiusura. Bisogna dire che qualcosa di importante, nel campo della seta, è rimasto nel Trevigiano. Ongetta, leader internazionale nella produzione di filati in seta con sede in frazione Levada a Ponte di Piave, è il più grosso importatore di seta in Europa (è anche sponsor della squadra corse Sic 58 -ndr). Importa circa 700 tonnellate di filo di seta all’anno. Da diversi incontri e conferenze è emerso che in questo momento è ancora impensabile riaprire filande in Italia, anche se c’è un certo interesse nell’avere seta al 100 per cento italiana, ma i costi sarebbero improponibili.
Non può dunque riprendere la bachicoltura in Italia?
Sì potrebbe riprendere, ma non per produzione filo di seta dalla trattura, operazione che permette di ricavare il filo di seta dal dipanamento dei bozzoli del baco da seta. Sta invece diventando sempre più interessante la lavorazione attraverso la cardatura del bozzolo, processo industriale simile a quello della lana. La seta cardata è utilizzata anche in combinazione con altre fibre tessili per creare tessuti misti (seta e cachemire, seta e cotone). Inoltre, grazie all’alto potere traspirante ma allo stesso tempo isolante, è ottima come imbottitura anallergica per capi di abbigliamento, trapunte.
La seta ha una scala di gradazione della qualità. Le nostre industrie comasche vogliono solo 6A e qualche volta 5A, in India usano 3A e 4A, che non andrebbero bene per le nostre industrie,
Con il filo tondo ottenuto dalla cardatura potrebbe avere altri usi, come l’ovatta di seta, per sostituire lana e piumino d’oca delle imbottiture. Questi ultimi producono acari, la seta no. Andrebbero dunque disinfettati il piumino d’oca o la lana, con costi altissimi. La seta diventerebbe così concorrenziale.
Esiste inoltre un grosso interessamento delle industrie cosmetiche e farmaceutiche. Il filo di seta contiene per il 99,99% due proteine, (sericina e fibroina) che hanno grandissima affinità con i tessuti umani, come la pelle. Viene usata per fili da sutura in operazioni chirurgiche (la fibroina). La sericina è alternativa all’uso della bava di lumaca, che arrivava soprattutto dall’Ucraina, utilizzata per proprietà lenitive e idratanti. Quindi, l’eventuale futura filiera della seta, non sarà sulla trattura ma sulla cardatura.
Chi volesse allevare bozzoli, ha convenienza?
Il punto di domanda è se possano svilupparsi le industrie che sfrutterebbero la cardatura. Inoltre, il baco è un lepidottero, tanti sono dannosi per le colture. Il baco seta è anche lui un lepidottero. Il problema è che nella zona ci sono troppi frutteti e vigneti che chiedono trattamenti antiparassitari. I prodotti hanno una deriva anche tra 5 e 10 chilometri. Basta che una piccola quantità finisca sulle foglie di gelso di cui si nutre il baco «Bombix Mori» per ucciderlo, per cui è più probabile che si possa sviluppare nel Sud e Centro Italia.
In un mese cresce di 9 mila volte
Il ciclo del «Bombix Mori» è uovo, larva (due millimetri e mezzo), crisalide e farfalla. In 27-29 giorni cresce anche 8-9mila volte il suo peso e 70-80 volte in lunghezza, nutrendosi continuamente di gelso (Morus). Cambia pelle quattro volte per poter contenere l’aumento di volume corporeo. Da adulto ha due ghiandole per la seta mature, da bacolino in 29 giorni la ghiandola cresce 200mila volte. E’ uno degli insetti più perfetti esistono. Costruisce il bozzolo con le ghiandole, dentro il bozzolo diventa pupa o crisalide e farfalla che con l’uncino buca il bozzolo. Nasce per accoppiarsi e deporre 400-500 uova. Si accoppia in 36 ore e in altre 36 depone le uova, uno-due giorni dopo muore, perché nasce senza apparato boccale e non può nutrirsi. La crisalide è una bomba proteica, essicata contiene 53% proteine e 15-20 % olio (si sta pensando come alternativa all’olio per cosmesi). Le crisalidi venivano date alle mucche o ai maiali per l’ingrasso. I cinesi non portano i bozzoli a essiccare, li tagliano ed estraggono la crisalide ancora viva che viene venduta per alimentazione umana. L’Associazione italiana gelsibachicoltori organizza tre giornate formative annue, full-time, nella sede presso la Coldiretti provinciale di Paese. Vi hanno già partecipato 256 persone da tutta Italia, a dimostrazione del rinnovato interesse per la bachicoltura.
A Vedelago l’allevamento di Steven Gatto
Con un ettaro di gelseto si possono ottenere dai 650-700 chili di bozzoli crudi anno, che pesa 3 volte più che l’essiccato. Può essere un reddito integrativo interessante in un’azienda agricola che ha già un’attività. L’azienda agricola di Steven Gatto a Vedelago, che produce ortaggi, da un paio d’anni ha iniziato ad allevare anche i bachi da seta: «E’ molto bello e appassionante - ci dice Steven Gatto -. Nel giro pochi giorni crescono in maniera impressionante. Dopo una quarantina di giorni li portiamo a essiccare». L’unità misura è il telaino, che contiene 20mila uova (circa 10 grammi), nella medesima mattina nascono almeno il 95-97%. Dal telaino se l’allevatore è bravo, ne riesce portare a bozzolo dai 10 ai 15mila, da 25 a 30 chili, di prima e di seconda qualità. Mediamente all’allevatore italiano, costa dai 12 a 14 euro al chilo produrlo, l’industria tessile non può pagarlo più di 10 euro, in Cina costa 2-4 dollari al chilo. Ecco perché conviene la cardatura, estraendo la crisalide venduta per altri scopi.