Il “tesoro” dei Girotto di Montebelluna
Oltre 4mila tra arnesi e strumenti per l'agricoltura e l'artigianato collezionati in 50 anni.
Il “tesoro” dei Girotto di Montebelluna. E’ un vero e proprio “tesoro” di cultura, tradizioni e storia quello che la famiglia Girotto di frazione Guarda, a Montebelluna. Oltre 4mila pezzi, arnesi, utensili e persino macchinari fino ai trattori. Strumenti di ogni comparto dell’artigianato, in quanto un tempo il contadino doveva essere pratico a far di tutto. Strumenti che ormai non esistono più e che vanno dagli inizi dell’Ottocento fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Oggi è Augusto Girotto, classe 1946, con il figlio Omar a collezionare, catalogare e conservare questi cimeli, sotto il vecchio granaio e in capanni. Augusto ha “ereditato” buona parte della collezione dal papà, Cirillo (classe 1911) e prima ancora da nonno Girolamo (1882).
Con queste migliaia di pezzi ci si potrebbe realizzare un ricchissimo e documentatissimo museo etnografico: “Ci ho pensato e ne avevo parlato anche in Comune a Montebelluna – dice Augusto Girotto -, avevano indicato anche alcune possibili destinazioni, ma poi non se ne è fatto più nulla. Sono venute diverse scolaresche a visitare la collezione. Ho iniziato a collezionarli 50 anni fa, con nquello che mi aveva lasciato mio padre e cercando nuovi pezzi nei mercatini dell'usato”.
Il “tesoro” dei Girotto di Montebelluna
E così, come si può osservare nelle immagini, troviamo arnesi da falegnameria e persino antichissimi rasoi, perché tra i contadini c’era chi passava di cascina in cascina a fornire il servizio di barberia. Molti i cesti, fatti a mano da papà Cirillo. Il Brando, il Brandin e le Pignatee. Un’antica madia, il Confin e il Confinetto. Ogni arnese e strumento ha un nome proprio della tradizione locale che, in altre zone, possono avere nomi totalmente diversi. Alcuni sono stati creati apposta per le proprie specifiche esigenze e sono pezzi praticamente unici. Si perde la vista tra tutti gli arnesi appesi o, quelli più grandi, appoggiati a terra. Tutti meticolosamente ordinati per “categoria artigianale”, dalla falegnameria, ai vari settori dell’agricoltura, viticoltura, fabbro e “tempo libero” come ad esempio una vasta gamma di gabbiette per uccelli tutte in legno e fatte a mano. Rovistando troviamo persino un curiosissimo strumento, proveniente dall’Est ci dice Augusto, che altro non era che un alambicco per fare la grappa, totalmente diverso a quelli che noi siamo abituati a vedere. C’è il Moschet, un antesignano dei nostri frigoriferi, per tenere lontane le mosche dal cibo. Ed ecco davanti a noi una Mussa, proveniente da Zolda Alto nel Bellunese. Questo singolare carretto a slitta serviva per trasportare il fieno, fatto in legno, corda e cuoio intrecciato.
In un angolo troviamo l’Incoconaoche, strumento che veniva utilizzato per ingozzare le oche per poter ottenere un buon fois gras. C’è anche una serie di falcetti, di tutte le misure e usi, persino uno molto piccolo per le erbe officinali.
Ma ci sarà qualcosa che ancora non ha o non ha trovato? “Sì, effettivamente mi mancano alcuni pezzi, molto pochi in verità – risponde Augusto Girotto -. La Bepa, un lumino a olio con archetto, la falce per tagliare la paviera (una canna palustre che cresce spontanea con la quale si realizzano cesti -ndr) e il Burcio da latte, un vaso di vetro a forma quadrata per fare il burro”.
Ma gli strumenti della famiglia Girotto non sono certo finiti qua. La Rochea, ad esempio, utilizzata per la semina a mano da cui, posizionata sul badile da semina, si facevano cadere due semi alla volta. Il Fatinansi, utilizzato durante la battitura del frumento per separare le bucce che venivano poi utilizzate per imballaggi. Troviamo, ancora, un curioso attrezzo per andare a lumache. Il Rampegon, un attrezzo munito di ancorette che si usava per recuperare i secchi persi nei pozzi. Il Partedor, una sega particolare usata da due persone, per tagliare i tronchi, soprattutto di pino, in precise tavole. C’era una gerarchia per usare il Partedor. Soltanto dopo tre mesi di esperienza si poteva lavorare nella parte superiore, ma all’inizio bisognava stare sotto a riempirsi di segatura. Augusto ha recuperato, in alcuni viaggi in giro per l’Italia, anche numerosissimi attrezzi dell’artigianato locale. Come le zappe che vengono da Pietralcina e da Castel Sant’Angelo. In bella mostra due antiche zappe per patate, di diversa misura, una da uomo e una da donna. Poi i grossi macchinari come il Burat, che con ingranaggi e meccanismi dal grano separava la pula. Una macchina per tagliare le bietole da dare in pasto alle mucche, in quanto intere avrebbero potuto soffocarle. C’è poi un cesto apparentemente simile a quelli comuni, in realtà è la Decima, che in passato rappresentava l’unità di misura per la quietanza da offrire al parroco del paese. Troviamo anche delle vecchie biglie in terracotta che i bambini usavano per giocare e speciali gabbie per quaglie: “Mio papà – ci dice Augusto – andava a raccogliere le uova di formiche rosse, di cui le quaglie sono particolarmente ghiotte”. La Gigala per raccogliere le foglie, la Lora per riempire la botte, le Condole (tappi) per i tini e uno “spinel” simili a quelli di oggi, ma in legno, per spillare la botte. La Chia per lavorare l’orzo e farne saggina per costruire le scope. Il Saret e la Baracchina per portare il grano al mercato. In due garage ci sono anche quattro trattori d’epoca: uno Steyr del 1956, un Landini del 1958, un Monti del 1955 e un Ford Mayor del 1956. Accanto, una Barea, un carro ribaltabile che era trainato da buoi: “Si andava a levare i sassi dai fossati e a riporli dove l’acqua aveva eroso la terra. I nubifragi c’erano anche a quei tempi, ma non succedevano inondazioni così di frequente come oggi, perché i corsi d’acqua e i fiumi erano tenuti in ordine dai contadini”, ricorda Augusto Girotto.
Quando la passione diventa storia. Complimenti