Il vescovo Tomasi in visita al Ca' Foncello: "Ce la faremo se ci prenderemo cura gli uni degli altri"
Toccante la testimonianza degli infermieri: "Abbiamo cercato di dare ai nostri malati l’affetto e la vicinanza che non potevano avere dai familiari".
Il vescovo ha incontrato una ristretta delegazione del personale e fatto poi visita, accompagnato dal direttore generale, Francesco Benazzi, al Reparto di Pediatria.
Una gradita visita
“Ce la faremo se ci prenderemo cura gli uni degli altri”: questo il messaggio che il Vescovo di Treviso, Mons. Michele Tomasi, ha dato oggi, mercoledì 23 settembre 2020, nel corso della visita effettuata al Ca’ Foncello, la prima dopo l’incontro e la messa di marzo. Il Vescovo, stante le limitazioni legate alla pandemia, ha incontrato una ristretta delegazione del personale e fatto poi visita, accompagnato dal direttore generale, Francesco Benazzi, al Reparto di Pediatria, in rappresentanza di tutte le Unità Operative.
Le parole di monsignor Tomasi e il ringraziamento di Benazzi
“Siete persone che fanno bene il bene, nell’ambito di un mestiere che è la risposta a una vocazione, a un servizio. La vocazione di un ospedale - ha sottolineato Mons. Tomasi, rivolgendosi al personale dell’Ulss 2 - è di prendersi cura dei pazienti, non solo di guarirli, e la realtà del servizio sanitario è parte integrante della comunità civile che deve sostenerne, accompagnarne e riconoscerne la validità”.
“Ringrazio Il Vescovo, e tutti i Religiosi che prestano servizio nelle nostre strutture, per l’aiuto e il supporto che ci hanno dato e quotidianamente continuano a darci per affrontare una pandemia che è ancora per i malati ma, anche, per i nostri operatori, fonte di sofferenza”, ha sottolineato il direttore generale, Francesco Benazzi.
La testimonianza degli infermieri
Toccante, nel corso della visita, la testimonianza di alcuni infermieri che hanno raccontato il vissuto, difficile e complesso - da un punto di vista umano oltre che professionale - del periodo del lockdown, caratterizzato dalla sofferenza dei malati e dei familiari, costretti a vivere in solitudine la malattia e la morte.
"È stata un’esperienza molto toccante – hanno detto –. Abbiamo cercato, in tutti i modi, di dare ai nostri malati l’affetto e la vicinanza che non potevano avere dai familiari e, anche, di fare da tramite, utilizzando tutte le modalità possibili, tra i pazienti e i loro cari”.